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PHEST 2018 – Terza edizione Monopoli, dal 6 settembre al 4 novembre 2018 le dichiarazioni in conferenza stampa

 

«Il più grande merito di PhEst è quello di provocare. Noi vogliamo che le nostre città si interroghino e producano riflessioni sulle loro origini, ambendo a costruire il loro sviluppo con un piano di coinvolgimento e produzione. PhEST non è solo una bella immagine della creatività e dell’arte della Puglia. È anche e soprattutto un evento di vera produzione culturale. La scelta di temi, luoghi, la commistione tra le arti fa riflettere e aiuta a generare un circuito virtuoso – sono le parole dell’assessore regionale all’Industria Tursitica e Culturale Loredana Capone -. Phest non è solo una mostra, sono tante mostre che entrano nei luoghi, li fanno vivere e segnano una connessione con le persone del territorio, tale da valorizzare quello che quel luogo offre. Stiamo puntando sulle destinazioni turistiche che stanno emergendo in Puglia: Monopoli è una di queste e stiamo recuperando insieme una strategia che non sia solo “vieni a vedere la puglia”, ma che ci veda impegnati per una accoglienza di qualità. Ed è così che noi vogliamo presentarci, storia e identità del territorio».

«Porti e foto di famiglia: è attraverso questi macrotemi paralleli che si compiono i due viaggi di quest’anno. Temi e viaggi che non mancano di incrociarsi in più di un’occasione – spiega Giovanni Troilo, direttore artistico di PhEST -. Il porto deve la sua eccezionalità all’essere un luogo che non è più qualcosa e non già qualcos’altro, uno spazio neutro sospeso che pone in relazione, che unisce luoghi, culture, immaginari lontani. E se Edoardo Delille, con il suo lavoro in residenza nei porti di Bari e Brindisi, prova giocosamente a riportare luogo e parola sullo stesso piano di neutralità in un momento in cui quella neutralità sembra smarrita, molti dei lavori raccontano i porti come miraggio, come un nuovo luogo in cui si consuma la fragilità politica contemporanea, definendo un nuovo spazio di eccezione. Questo racconto – prosegue – si compie in tra atti, parte dalla etno-fiction di Willocq che esplora il mondo apparentemente noto, ma di fatto inedito della relazione di una piccola comunità costretta ad accogliere alcuni richiedenti asilo e giunge al racconto della nuda vita, radiografata da Noelle Mason che descrive l’oggettiva sospensione dei migranti in transito e pone il porto come nuovo paradigma della bio-politica e la figura del rifugiato come elemento di crisi della finzione contemporanea della sovranità moderna. Il secondo macrotema si sviluppa intorno al soggetto fluido del passato – continua ancora -. Il passato viene modificato continuamente dallo sguardo del presente. E così grazie ad un lungo lavoro fatto con gli abitanti di Monopoli e all’intervento di Leo & Pipo, duo di street art francese, le figure del passato escono dagli album di famiglia e invadono il centro storico di Monopoli. Passeggiano per i vicoli, escono dalle case, sostano lungo le pareti. In questa osmosi, lo sguardo vivo di queste figure del passato arriva a ricordarci chi eravamo, per capire meglio chi siamo e chi dobbiamo essere. Questi due temi, porti e archivi si incrociano in vari passaggi, come nella mostra di Pino Pascali con la sua serie inedite di fotografie in cui indaga il porto e il mare, ma si incontrano definitivamente sul lungomare della città vecchia, in cui la scritta abbagliante See Beyond the See inviterà i visitatori ad avvicinarsi ad una serie di cannocchiali gialli puntati verso il mare per scoprire un paesaggio inatteso in cui spazio e tempo si sospendono e si annullano per un istante».

«I lavori in mostra alla terza edizione di PhEST, festival di fotografie a arte a Monopoli, ci interrogano sul mondo in cui viviamo. Ci pongono di fronte a questioni dure, a volte inaccettabili. Puntano il dito verso situazioni che a volte non vogliamo vedere. Ci mostrano cose meravigliose che diamo per scontato. È la forza delle immagini che rende la fotografia così potente e importante – dichiaraArianna Rinaldo, responsabile della curatela fotografica del Festival -. A PhEST proponiamo 21 mostre che spaziano dal tema, caldo ai giorni nostri, dei porti all’affascinante ricchezza dell’album familiare. Mettiamo in luce quello che ci unisce come umanità e quello che ci distingue come essere umani unici. Il Mediterraneo è il nostro punto di partenza e da qui, dalla Puglia, Edoardo Delille ci porta a ripensare al porto per quello che è e sempre sarà: un luogo di incontri, di passaggio, di ricchezza umana e vitalità – prosegue -. Sempre dalla Puglia parte la raccolta ALBUM -Archivio di Famiglia per non perdere il legame con chi siamo, nell’intento di dare un valore al prezioso patrimonio famigliare e amatoriale. Ci interroghiamo sull’accoglienza ai rifugiati con i tableaux di Patrick Willocq, e meditiamo sullo sfruttamento dei migranti proprio nella nostra terra con le immagini evocative di Alessia Rollo. Guardiamo il mondo dall’alto con le composizioni satellitari di Federico Winer che ci propone di guardare il nostro mondo da un’altra prospettiva e, grazie a Mandy Barker, osserviamo da vicino gli oceani, invasi dalle plastiche del nostro “progresso”. Ogni sguardo è unico – conclude -, ma le immagini non sono mai neutrali. Le fotografie rappresentano sempre un punto di vista, con il quale possiamo essere d’accordo o no. L’importante è dare spazio al confronto e alla conversazione».

«Con la terza edizione di PhEST la fotografia e l’arte contemporanea dialogano alla costruzione di veri e propri ambienti, contesti visuali immersivi dove l’osservatore è pienamente al centro della riflessione sui temi culturali e sui processi estetici – aggiunge Roberto Lacarbonara, responsabile della curatela artistica -. Gli artisti presenti a Palazzo Palmieri – Agrimi, Schiavulli e Strabone – offrono una lettura emotiva e drammatica dei fenomeni di transito e morte nel Mediterraneo, alludendo alle forme più feroci di emarginazione e sfruttamento dei migranti. La scelta di Marco Neri, invece, nel dialogo scenografico e corale con Gregor Sailer, è un incontro tra la storia e la leggenda, tra la verità e la sua costruzione retorica: una città-assemblaggio fatta di vecchie scatole in legno, metafora della inarrestabile gentrizzazione urbana, accanto alle finzioni architettoniche del Villaggio Potëmkin, dove un mondo di cartone e cartapesta doveva servire, sul finire del Settecento, a mostrare la felicità e leggerezza di una terra in piena carestia e decadenza».

«Tre anni fa abbiamo conosciuto PhEST e ce ne siamo innamorati attivando in questi anni diverse collaborazioni tra cui la trasposizione degli ulivi di Alejandro Chiaskelberg a Mosca lo scorso inverno –racconta Alfredo de Liguori, responsabile marketing Puglia Promozione -. Ma quello che ho nel cuore di PhEST è la mostra di Piero Martinello Neptune gladiators dedicata ai volti dei pescatori monopoltani che ha fatto nascere una grande empatia tra la città e il Festival. Da qui è nato il #wewereinpuglia per raccontare alle nuove generazioni chi eravamo, e chi siamo mantenendo un collegamento sempre vivo con il passato e con chi abita le nostre città, valore aggiunto del territorio. Sono i cittadini, infatti, a fare le destinazioni turistiche e chi viaggia in Puglia oltre le sue bellezze vuole incontrare i pugliesi».

«Anche quest’anno l’amministrazione comunale di Monopoli insieme alla Regione Puglia ha voluto chiudere l’estate e aprire l’autunno con PhEST – ha dichiarato il sindaco di Monopoli, Angelo Annese-. Il tema scelto quest’anno è quello dei porti e la storia della nostra città è legata ad esso quale porta sul Mediterraneo. Già in questi giorni le foto apparse sui muri del centro storico hanno incuriosito. Una mostra che inorgoglisce i monopolitani perché anche i luoghi meno conosciuti sono al centro di questo itinerario espositivo fatto di foto dei nostri avi».

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